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È il 2 Giugno 1946: le donne si prendono la storia

Dalla prima petizione a favore del voto femminile presentata al Parlamento nel 1877 da Anna Maria Mozzoni, pioniera del femminismo italiano, sono trascorsi altri settant’anni prima che le donne italiane potessero cominciare ad esprimere la propria opinione politica attraverso il voto. Il voto alle donne fu definitivamente introdotto nel nostro ordinamento giuridico con decreto luogotenenziale n. 23 del 30 gennaio 1945, che ratificava (su suggerimento di Palmiro Togliatti ed Alcide De Gasperi) la proposta del Presidente del Consiglio Bonomi, capo del governo provvisorio istituito dal Comitato di Liberazione Nazionale dopo la caduta del Fascismo.

Nel decreto non era prevista l’eleggibilità delle donne, ma nell’aprile 15 – nell’attesa del referendum istituzionale del 2 giugno 1946 – si era insediata la Consulta, il primo organismo politico nazionale in cui entrarono 13 donne, invitate direttamente dai partiti, col compito di elaborare una legge elettorale per l’Assemblea Costituente.

Il 10 marzo del 1946, mentre il Paese provava a rialzarsi dopo il  ventennio fascista,  le italiane lasciavano il focolare domestico per recarsi per la prima volta alle urne in occasione delle elezioni amministrative di circa 400 comuni.

Il 2 giugno 1946 si votò per il referendum istituzionale tra Monarchia o Repubblica e per eleggere l’Assemblea costituente, che si riunì in prima seduta il 25 giugno 1946 a Palazzo Montecitorio. Esso pose fine al divieto di elettorato sia attivo che passivo imposto alle donne e sancì, con grave ritardo rispetto ad altri Stati, il suffragio universale

Rispetto ad altri Stati, in Italia il diritto di voto alle donne arrivò infatti con molto ritardo. Il primo Stato a riconoscere il suffragio universale fu la Nuova Zelanda (1893), a cui fecero seguito Finlandia (1907), Norvegia (1913), Regno Unito (1917). Prima che in Italia, il suffragio universale era già stato riconosciuto in Turchia, Mongolia, Filippine, Pakistan, Cuba e Thailandia.

Apripista nelle rivendicazioni femminili fu l’Udi, l’Unione delle donne italiane, associazione nata dalla Resistenza, e furono tre esponenti dell’Udi – Rita Montagnana (allora moglie di Palmiro Togliatti), Teresa Noce e Teresa Mattei – a stabilire che dall’8 marzo 1946 il fiore della Giornata della donna in Italia sarebbe stato la mimosa, fiore povero e popolare.

Nella neoeletta Assemblea Costituente sedettero le prime 21 parlamentari donne , molte delle quali avevano preso parte alla Resistenza. Alcune pagarono a caro prezzo le loro scelte, come Adele Bei, condannata nel 1934 dal Tribunale speciale a diciotto anni di carcere per attività antifascista; Teresa Noce, che dopo aver scontato un anno e mezzo di reclusione fu deportata in un campo di concentramento nazista in Germania, dove rimase fino alla fine della guerra; e Rita Montagnana, che aveva passato la maggior parte della sua vita in esilio.

Denominate per l’appunto Madri Costituenti, esse furono così elette: 9 della Dc (Laura Bianchini, Elisabetta Conci, Filomena Delli Castelli, Maria De Unterrichter Jervolino, Maria Federici, Angela Gotelli, Angela Guidi Cingolani, Maria Nicotra, Vittoria Titomanlio), 9 del Pci (Adele Bej, Nadia Gallico Spano, Nilde Jotti, Teresa Mattei, Angiola Minella, Rita Montagnana, Teresa Noce, Elettra Pollastrini, Maria Maddalena Rossi), due del Psiup (Angelina Merlin e Bianca Bianchi) ed una del partito dell’Uomo qualunque (Ottavia Penna Buscemi).

Il 19 luglio 1946, per scrivere la nostra Carta costituzionale, venne nominata la “Commissione dei 75”, presieduta da Meuccio Ruini, suddivisa in tre sottocommissioni: la prima sui diritti e doveri dei cittadini, la seconda sull’ordinamento costituzionale, la terza sui diritti e doveri economico-sociali. Della prima sottocommissione fece parte la comunista Nilde Iotti, della terza la democristiana Maria Federici, la socialista Angelina Merlin e la comunista Teresa Noce. Nessuna donna fece parte della seconda sottocommissione. In seguito venne chiamata a far parte della prima anche la democristiana Angela Gotelli, in sostituzione della dimissionaria Penna Buscemi.

2 giugno_libertà femminile
(credit: Giuseppe Castiglione)

Pur tra le differenze dei rispettivi partiti, spesso le Costituenti fecero causa comune sui temi dell’emancipazione femminile cui sarebbe stata dedicata, anche se non esclusivamente, gran parte della loro attenzione. Esse furono chiamate come relatrici ad affrontare argomenti delicati quali la famiglia o i diritti delle lavoratrici, iniziando una “settorializzazione” dei compiti che, se da un lato fu espressione di una speciale sensibilità femminile, dall’altro avrebbe pesato a lungo sulla futura vita parlamentare e politica delle donne, tagliando l’interesse femminile da tematiche che il sesso maschile continuò a rivendicare come proprie.

Grazie all’apporto delle Madri Costituenti, alcuni principi di parità hanno trovato spazio nella nostra Costituzione. I parlamentari maschi ignoravano tutto della storia del movimento femminista e delle lotte portate avanti per migliorare la condizione della donna. Nessuno di loro citò mai figure femminili che pur in passato si erano occupate di tali tematiche. 

Spesso dimentichiamo cosa sia accaduto 70 anni fa. Il 2 giugno 1946 è il giorno di una rivoluzione, il giorno in cui le donne hanno segnato la storia ed hanno conquistato con le loro stesse forze diritti che nessuno voleva riconoscere loro poiché considerate inferiori ed incapaci .

Dobbiamo sempre ringraziare queste donne per il contributo dato alla nostra storia e alla nostra società, e un  grazie va sicuramente a tutte le donne che continuano ogni giorno con impegno a rendere il mondo migliore di come lo hanno trovato. Seppur per lungo tempo escluse dalla storia, la vera forza motrice del cambiamento e dello sviluppo verso un mondo più giusto e più ricco di umanità è data proprio dalle donne.


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