No alle spose bambine, sì alle bambine libere

Ogni anno 15 milioni di ragazze al di sotto dei 18 anni vengono costrette a contrarre matrimonio. Ciò accade in diversi stati, nelle più svariate culture e religioni ma il fenomeno è influenzato sempre dagli stessi fattori: differenza di genere, povertà, insicurezza, tradizioni e mancanza di alternative. Ciò non implica che sia possibile trovare un’unica soluzione al problema, il quale presenta infinite sfaccettature.

Le statistiche sulle spose bambine sono allarmanti: si stima che il numero crescerà di 1,2 milioni nel 2050.  Una bambina ogni due secondi è il ritmo incessante di questa barbarie. Fare riferimento alle cifre non dà voce alle bambine che attendono il loro triste destino.

Il problema non è solo d’ordine morale, filosofico o religioso. Non è la mancanza di amore e di alternative che si denuncia bensì il mancato rispetto dei diritti umani. Viola il loro diritto alla salute all’educazione e alle opportunità, trascinandole in un vortice di violenza e povertà. Il film di denuncia “La sposa bambina”, di Khadija Al-Salami racconta bene la vicenda di bambine costrette a divenire prematuramente donne.

Se in alcuni paesi l’idea di una famiglia prettamente patriarcale in cui la donna passava dalla potestà del padre a quella del marito (oculatamente scelto dalla famiglia,) in altri paesi volteggia ancora questa minaccia, che per alcuni è divenuta un vero e proprio incubo.

I paesi più gettonati li troviamo in Medio Oriente, nel Sud dell’America Latina, dell’Asia e dell’Europa. Venti città nel mondo registrano il più alto tasso del fenomeno (dal 78% in Nigeria al 41% della Repubblica Domenicana), secondo le stime del “Multiple Indicator Cluster Surveys” (MICS), del “Demographic and Health Surveys” (DHS) e di altre risorse di raccolta dati nazionali che hanno registrato i dati relativi tra il  2005 e il 2013. Il più alto numero di bambine sposate prima dei 18 anni si registra in India che con 10,063,000 casi supera di gran lunga il Bangladesh e la Nigeria (rispettivamente 2,359,000 e 1,193,000).

Il matrimonio delle giovani donne è spesso e nella maggior parte dei casi illegale. Tuttavia, essendo portato avanti soprattutto dai genitori che ne danno chiaro ed esplicito consenso, non può essere punito. La legge prevede che sia vietato il matrimonio deciso dalle fanciulle non ancora mature per decidere del loro destino – ma ritenute abbastanza mature per obbedire ad un destino deciso dalle loro famiglie. 

La prima conseguenza che emerge è il perpetrarsi della povertà. Le giovani bambine sono costrette a lasciare la scuola per occuparsi della famiglia e della casa, tralasciando così la loro educazione. Il 60% delle spose bambine non hanno ricevuto più alcuna istruzione, abbandonando così qualsiasi speranza di riscatto.

La concatenazione che unisce educazione e povertà ha spinto la comunità internazionale ad includere la riduzione del fenomeno tra i “Sustainable Development Goals” dei prossimi 50 anni. Il problema più grosso è la salute delle madri e dei bambini. Il 50% dei bambini nati da ragazze aventi meno di 20 anni non arriva a nascere o muore nella prima settimana di vita. Le madri troppo giovani non hanno ancora un corpo ben formato per sostenere una gravidanza, pertanto molte di loro subiscono delle complicazioni.

Altre invece riportano i segni della violenza sessuale. In uno studio effettuato nel nord dell’Etiopia, l’81% delle donne ha  dichiarato di avere subito un abuso sessuale. Con il dilagarsi dell’instabilità politica il problema diventa sempre più grande. Tra i rifugiati della Siria in Giordania, il numero dei matrimoni prima dei 18 anni è cresciuto dal 12% nel 2011 al 32% all’inizio del 2014.

Nonostante si legga “Marriage shall be entered into only with the free and full consent of the intending spouses” (Universal Declaration of Human Rights, 1948), come possiamo davvero difendere queste bambine strappate con forza all’infanzia?

Il primo traguardo da raggiungere è il miglioramento dell’educazione e la sensibilizzazione delle famiglie; il secondo è la mobilitazione delle comunità; infine, una vittoria significativa sarebbe l’implementazione e il rispetto di leggi, là dove già esistono, a favore delle bambine. Debellare il problema richiede sforzi multidirezionali.

“Girls Not Brides” mette insieme molteplici organizzazioni provenienti da più di 70 paesi differenti con lo scopo di coordinare le azioni che mirano a mettere fine o (per essere più realisti) diminuire il diffondersi del fenomeno.

Di pari passo, al mutare della concezione dell’infanzia e della donna, le associazioni non governative e governative si fanno promotrici di nuovi valori a salvaguardia del futuro di milioni di bambine. A questo sforzo incessante contro questa tradizione ripugnante si uniscono anche singole donne impegnate nella medesima lotta, come la regista del film di cui sopra, impegnata a documentare la storia della piccola Noojom o Kriti Barthi, psicologa e attivista ventinovenne che da sola è riuscita a fermare più di 900 matrimoni precoci nello stato settentrionale del Rajasthan, in India.

Oggi la giovane attivista ha fondato un’associazione – “Saarthi Trust” – grazie alla quale ha fatto annullare 29 matrimoni e ha aiutato più di 6mila bambine e avviato 5mila donne alla riabilitazione. Le spose bambine esistono, sono troppe e rischiano di diventare ancora di più se noi continuiamo a percorrere la strada dell’indifferenza.