Il film consigliato: He Got Game (1998)

Jesus Shuttlesworth (Ray Allen, giocatore professionista) è una giovane promessa del Basket americano. Non ancora diplomato, è forte la contesa tra diverse università degli States per accaparrarselo, ma non sono le uniche a volerlo a tutti i costi. Jesus è infatti tentato a firmare un contratto da professionista nell’NBA, ma la sua volontà di proseguire gli studi è tenace e lo mantiene su un percorso di vita più saggio e meno impulsivo.

Il padre Jake (Denzel Washington), in carcere per uxoricidio – omicidio preterintenzionale in questo caso – non è mai stato perdonato dal figlio, ma ha una settimana di tempo per convincerlo a scegliere la Big State University, squadra del Governatore dello stato di New York, in cambio di un piccolo sconto di pena. Un doppio sfruttamento si profila tra la scuola, il campo di gioco e le alte sfere: a Jake viene concesso di uscire in libertà vigilata per aiutare il Governatore a conquistare Jesus, e quest’ultimo è continuamente pressato da amici e parenti che lo vedono come una futura stella dello sport in grado di aiutarli economicamente, in una cornice perfetta come la periferia più degradata di New York. Il film è diretto da Spike Lee, uno che la Grande Mela l’ha vissuta fin da piccolo e che conosce le strade malfamate di Coney Island. L’unione tra la passione per la pallacanestro e la volontà di raccontare il disagio di certi quartieri, ha dato luogo a una storia che descrive la via d’uscita ambita da molti ragazzi ma anche la facilità con cui questi possono perdersi o bruciarsi troppo presto tra le mani di un qualche manager interessato a farsi solo un bel gruzzoletto sulla pelle di un atleta astro nascente. Il film non resta una “americanata” tutto basket e niente background, anzi vi è un’ampia rassegna di tematiche forti che raramente è possibile trovare in un’unica pellicola. Dal turbolento rapporto tra Jesus e il padre alcolista – e che anche per questo motivo uccide accidentalmente la moglie e madre del piccolo talento – all’importanza dell’istruzione; dall’insaziabile avidità di un manager mafioso, all’interesse morboso per le scelte di un atleta con un futuro certamente luminoso, sportivamente ed economicamente; dall’aborto della giovane fidanzata dopo una gravidanza indesiderata dovuta alla mancanza di precauzioni, alla violenza sessuale minorile che racconta Dakota (Milla Jovovich), una prostituta con cui Jake costruisce una bizzarra e breve relazione; dalla eccessiva facilità con cui un giovane studente può essere portato via dalla retta via con la promessa di denaro a palate, alla condizione di estrema “fame di fama” non solo per arrivare personalmente a sfondare nel mondo dello sport ma anche e soprattutto per poter chiedere favori a chi è riuscito ad arrivare in alto; il contrasto tra il basket pulito giocato dai bambini nei piccoli e bui campi di periferia e lo sfarzo tentatore dello sport professionistico. Una quantità veramente folle di argomenti e personaggi che attirano l’attenzione per una propria peculiare storia di vita, il tutto condito da colonne sonore tra l’hip-hop più rozzo a brani orchestrali decisamente più dolci. Non è solo un film sul basket, e non è la storia di un nero che riesce a uscire fuori dal ghetto. C’è molto di più. Spike Lee mostra scena dopo scena i contorni e poi il contenuto di una decisa critica morale della società, tentando di far passare un messaggio diverso da un blasonato “i sogni possono diventare realtà”: il potere corruttivo del denaro non ha confini.

Daniele Monteleone