«1944» o dell’ipocrisia dell’Occidente

1944 è il titolo dell’ultima canzone vincitrice dell’Eurovision Song Contest, il concorso sonoro, quest’anno ospitato a Stoccolma dal 10 al 14 maggio, che annualmente vede raggruppati i cantautori più in voga nei paesi europei e non solo. Scritta in inglese e tataro da Jamala, al secolo Susàna Aliminvna Dzamaladinova, cantautrice ucraina classe 1983, ma natìa di Oš in Kirghizistan, la canzone ripercorre le tragiche vicissitudini vissute dalla sua famiglia durante gli anni più bui del regime sovietico e del loro confino nella lontana steppa Kirghiza. 

Fin qui nulla di cui obiettare, verrebbe da pensare. Una canzone-denuncia come tante ne sono state scritte fino ad ora, che abbia come fine quello di sensibilizzare la comunità internazionale al fine di evitare che nuovi e drammatici simili eventi, possano essere vissuti nuovamente. Ma nella realtà dei fatti , si sa come vanno certe cose qui in occidente. Strumentalizzare ed interpretare qualunque cosa possa andare contro chi “minaccia”  quei “sani e secolari” valori socio-politici ed economici che da sempre contraddistinguono le comunità del vecchio e del nuovo continente. E cosa c’è di meglio, in questi tempi incerti che ci ritroviamo a vivere, di una buona dose canora di puro occidentalismo e libertarismo contro un nemico che si fa sempre più grande, concreto, minaccioso ed assetato di conquiste?

Ora, non ci vuole un esperto in materia di montaggio o di arti canore o scenografiche per rendersi conto di come 1944 e la sua sfidante finalista e favorita vincitrice, arrivata poi terza, You are the only one del russo Sergej Lazarev fossero parecchio distanti  l’una dall’altra in tonalità, musicalità e scenografia. Tuttavia si è ritenuto opportuno far sì che a vincere questa 61ma edizione fosse proprio la canzone di Jamala.

Ovviamente le reazioni da parte russa non si sono fatte attendere. Il senatore alla Duma Frants Klintsevich ha dichiarato alla stampa che “a vincere l’Eurovision Song Contest non fosse stata la cantante ucraina Jamala e la sua canzone, bensì la politica sulle arti” ripetendo la voce di un possibile boicottaggio dell’edizione che si terrà il prossimo anno a Kiev mentre il tabloid russo Komsomol’skaya Pravda ha diffuso in rete un articolo dal titolo “la vittoria rubata a Lazarev da parte dei giurati europei.”

Boicottaggi, false vittorie, proteste anti-Russia, sembra che questa “Seconda guerra fredda” giunta al suo secondo anno di conflitto, stia tornando ad avere le peculiarità propagandistiche della prima: non più Patrick Swayze nei panni del protagonista di Alba Rossa, film del 1984, dove si manifesta tutta la paura e preoccupazione di una possibile invasione degli States da quello che Reagan definì “Impero del male”, o la possibile fratellanza tra Occidente e Oriente in quel capolavoro di Arrivano i Russi! del 1966.

Nell’era del social network, dei mass-media e dei televoto cornice della grave instabilità politica, economica e sociale che il mondo occidentale si trova a vivere, è necessario trovare un unico nemico da combattere, un’unica minaccia da estirpare, o meglio da contenere, e cosa importa delle gravi conseguenze che le varie sanzioni, attuate alla Russia all’indomani dell’invasione della Crimea nel 2014, hanno avuto sull’economia comunitaria europea – si parla di circa 100 miliardi di dollari di danni- o se quei referendum popolari nelle Repubbliche autonome di Lugansk e Donec’k, territori a maggioranza russofona, siano stati apertamente denunciati e non riconosciuti da organi U.E., NATO e OSCE poiché definiti illegali, violando e oltraggiando paradossalmente quegli stessi principi di libertà di espressione che da sempre ne fanno il cavallo di battaglia del pensiero occidentale, bisogna contrastare e stoppare, con la censura, con la controinformazione, con il boicottaggio tutte quelle nuove realtà politico-economiche che stanno prendendo il posto, e anche in maniera repentina, a un occidente moralmente e politicamente all’inizio della fine dei suoi giorni. E consci del punto di non ritorno a cui siamo giunti, ecco che unatantum andiamo giù di canzoni dallo spirito anti-Cremlino, di Pussy Riots , di dissidenti politici e di richiedenti asilo. Ci facciamo una scorpacciata di “buon senso e di buoni valori” quando in realtà siamo diventati come la volpe con l’uva: quando non riesce a raggiungerla dice che è acerba.

Emanuele Pipitone