La nuova generazione artistica italiana e la «bellezza suprema» del Crocifisso Gallino

Tanti neolaureati scappano dalla “palestra a guadagno zero”, scoraggiati dall’assenza di prospettive lavorative o dall’impossibile scalata alla carriera nel mondo galleristico. Stiamo parlando degli italiani laureati alle accademia d’arte – anche se, con lo stesso scenario, ci si poteva riferire a molti altri laureati – e in particolare coloro che dovrebbero rinforzare i “tecnici” dell’Arte. 

Molti ragazzi iniziano a frequentare stage non retribuiti nelle gallerie d’arte per fare gavetta ma è rarissimo che alcuni di loro ottengano un contratto a tempo indeterminato all’interno delle stesse strutture o che un posto precario si stabilizzi. La galleria rimane un luogo utile a imparare a fare un po’ di tutto. Factotum è il ruolo dell’assistente tirocinante, dato che l’altra figura di rilievo è il gallerista stesso. L’assistente si occupa di comunicazione, dell’ufficio stampa, della manutenzione del sito, delle visite guidate, dell’allestimento organizzativo e fisico delle esposizioni, e di tante altre mansioni dalla segreteria alla logistica.

Diverse gallerie italiane sono inoltre “a conduzione familiare” e hanno poco spazio – se non nessuno – di azione in ambito decisionale. Le realtà museali pubbliche offrono contratti a tempo indeterminato ma la domanda è infinitamente più alta della disponibilità di posti: basti pensare al Museo d’Arte Moderna di Milano che ha solo due dipendenti a tempo indeterminato e quello di Torino appena una decina. Una via d’uscita può essere l’apertura in proprio di una galleria d’arte, ma l’ostacolo del capitale di partenza è insostenibile per la stragrande maggioranza dei neofiti agli inizi della loro carriera.

In tutto questo, l’Italia resta il paese con il più ampio patrimonio culturale al mondo (cinquanta siti UNESCO) e il paese con il maggior numero di siti protetti dalla World Heritage Convention. Diversi studi evidenziano che il ritorno economico dei beni culturali italiani (che consiste sia nelle entrate legate al turismo che quelle legate al mercato dell’arte) non è al livello di paesi con un patrimonio inferiore a quello italiano.

Uno studio ormai un po’ datato evidenzia che il settore culturale e turistico rappresenta il 13 per cento del PIL italiano, contro il 21 per cento, per esempio, della Spagna. Lo stesso studio mostra anche che le esportazioni di opere d’arte dall’Italia nel 2006 si sono attestate sui 130 milioni di euro contro i 3,2 miliardi di euro in esportazioni del Regno Unito e i 900 milioni della Francia.

Quando si sente parlare di arte italiana viene subito in mente l’arte del passato, l’arte rinascimentale, un limite culturale dettato da chiusura e bigottismo diffuso nell’ambiente intellettuale quanto in quello più legato ai potenziali investimenti nel settore.

A essere poco valorizzata è la produzione (e la promozione) contemporanea: nella lista dei 500 artisti più valutati nelle aste internazionali del 2013, il primo italiano, Stingel Rudolf, si trova al 20° posto. Rudolf e Cattelan sono gli unici due artisti italiani nati dopo il 1945 che nelle piazze internazionali riescono a vendere le loro opere ad oltre un milione di euro. Ma se l’arte è anche business e può rappresentare un’interessante opportunità di crescita economica, fa amarezza constatare che il Bel Paese è universalmente apprezzato per l’arte del passato, ma quando si parla di contemporaneo l’Italia sparisce.

Se il versante italiano “in entrata” nel controverso mondo dell’Arte cerca gloria all’estero o rimane schiacciato nel limbo non retribuito, quale movimento istituzionale si muove incontro alla qualità e alla voglia di rinnovamento della nuova generazione di artisti e di expertise?

Emblematico è l’episodio andato in scena nel lontano – dalla memoria di sicuro – Novembre 2008: l’acquisto in tutta fretta del Crocifisso presunto di Michelangelo da parte dello Stato Italiano alla cifra di 3 milioni e 250 mila euro. Un gioiellino elettorale tornato tra le braccia del Paese, mostrato in lungo e largo, ma evitato da numerosi privati per sospetti sulla reale autenticità risalente al Buonarroti, tra cui la Cassa di Risparmio di Firenze che mostrò tentennamenti al calo troppo rapido e troppo cospicuo della proposta di vendita dell’antiquario Gallino, iniziale proprietario.

Fotografato, immortalato, schiaffato su copertine di riviste specializzate, il Gallino fu elogiato e mostrato in servizi televisivi tra i convinti applausi della platea di giornalisti compatti e bipartisan, ed esposto nella Sala della Regina a Montecitorio dove fu apprezzato dall’allora Capo di Stato Giorgio Napolitano che lo definì “di una bellezza suprema”.

Il Cristo ritrovato, successivamente, comincia a vedersi attraversato dalle prima crepe. Sul “Venerdì” di Repubblica un breve articolo cita Paola Barocchi, uno dei massimi studiosi di Michelangelo, definiva il crocifisso «un’opera di rispettabile serialità tardoquattrocentesca legata ad un’alta tradizione di intaglio ligneo che niente ha a che fare con Michelangelo» giudicando l’acquisto “propagandistico e insignificante”.

Venne pubblicato qualche mese dopo un documento della Consulta nazionale universitaria di Storia dell’arte che denunciava la «strumentalizzazione propagandistica dell’acquisto pubblico di un Crocifisso attribuito a Michelangelo» sostenendo che «non sarà l’acquisto di una singola opera, la cui vera identità è ancora discussa, a ribaltare o ad occultare la catastrofica politica dei beni culturali condotta in Italia».

E non mancano, numerose, altre critiche contrarie all’attribuzione frettolosa del Crocifisso, o altre ancora che si guardarono bene dal gettarsi su scenari leggendari, come quella più cauta (e caldeggiata dagli ambienti della Politica) che lo stimò appena «risalente al giovane Michelangelo», giusto per mostrare una “incerta certezza”.

Attuale è la difficoltà italiana a far crescere l’arte, gli artisti e gli esperti sul territorio italiano tra ipocrisia e indifferenza, tra azioni di vetrina e cadute di stile. Citando il libro di Tomaso Montanari A cosa serve Michelangelo?: «la vicenda del crocifisso cosiddetto di Michelangelo è una metafora perfetta del destino dell’arte nella società italiana contemporanea. Strumentalizzata dal potere politico e religioso, banalizzata dai media e sfruttata dall’università, la storia dell’arte è ormai una escort di lusso della vita pubblica».