Le risposte europee e globali al crimine organizzato

Di Valeria Maschi – Il tema dell’espansione e della modernizzazione delle forme della criminalità organizzata può certamente essere annoverato tra quelli che rivestono una notevole rilevanza all’interno delle agende politiche sia nazionali sia internazionali. La criminalità organizzata rappresenta, infatti, ancora oggi e in moltissimi paesi, una delle principali minacce alla sicurezza dei cittadini e alla stessa sopravvivenza della democrazia.

Ne consegue che la prevenzione e la repressione della criminalità e, soprattutto, la necessità di sradicare le infiltrazioni criminali dall’economia e dalla politica, rappresentano, dunque, delle priorità fondamentali in seno ai governi. Priorità che non possono più essere considerate un’«esclusiva» delle singole realtà statali ma, che, a causa delle spinte offerte dai processi di globalizzazione, tendono a coinvolgere l’intera comunità internazionale.

Alla base di questi cambiamenti può certamente essere collocato quel processo politico che negli ultimi decenni ha contraddistinto lo sviluppo delle società occidentali. Il riferimento è alla progressiva omogeneizzazione dei sistemi economici e giuridici dei diversi Stati come conseguenza dell’affermazione di un’ideologia del mercato mondiale fondata sull’abbattimento delle frontiere e sulla cancellazione degli spazi geografici nazionali.

Si tratta di un’ideologia, il cui presupposto fondante è la libera circolazione nello spazio territoriale planetario degli individui e dei beni della produzione, che ha comportato rilevanti modificazioni non solo ai «classici» rapporti economici tra gli Stati, ma, in maniera più pervasiva, allo stesso concetto di sovranità nazionale. Tale nozione, da sempre considerata elemento imprescindibile e connaturato alla stessa essenza dello Stato moderno, rivela oggi le proprie debolezze, subendo gli attacchi e le «forzature» della nuova ideologia del mercato globale. In questa prospettiva, infatti, occorre rilevare che l’affermazione di un mercato connotato da dimensioni che trascendono la «nazionalità» degli scambi economici, spinge a percepire l’idea stessa di sovranità nazionale come un vero e proprio ostacolo alle leggi della libera circolazione delle merci (caratteristica fondante della società occidentale).

Conseguentemente, tutti i fattori determinanti per la realizzazione di un ciclo di produzione industriale postmoderno (il capitale, la forza lavoro, lo sviluppo tecnologico, le risorse bancarie) si muovono e si alimentano sul mercato mondiale al di fuori e a prescindere dalla rilevanza dei confini geografici nazionali.

Tuttavia, la progressiva erosione delle autonomie statali non è attribuibile solamente all’intensificazione dell’economia su scala planetaria, alla proliferazione dei fattori di produzione, alla loro inarrestabile libertà di circolazione, alla saturazione dei mercati interni e alla conseguente ricerca di un illimitato mercato globale. In questo processo in continua evoluzione un ruolo fondamentale è svolto anche dalle istituzioni sovranazionali e dalla conseguente tendenza a regolamentare, attraverso strumenti di diritto internazionale, settori sempre più ampi e rilevanti del diritto.

Con l’evolversi del diritto internazionale di natura pattizia, in altri termini, il principio di sovranità territoriale ha finito per modificarsi sotto le continue pressioni di tutte quelle convenzioni internazionali che, nel corso del tempo, hanno disciplinato i rapporti tra gli Stati nazionali, con l’obiettivo di creare una comunità accomunata da determinati valori e principi. In questo contesto normativo, le limitazioni più significative al principio di sovranità territoriale degli Stati nazionali sono rappresentate da quelle convenzioni che si prefiggono di realizzare scopi di solidarietà internazionale, fondati sui valori della libertà, del rispetto dell’essere umano, della giustizia e della cooperazione tra le nazioni. A proposito della tutela dei diritti umani e delle libertà fondamentali dell’individuo, molteplici convenzioni hanno caratterizzato lo sviluppo del nostro ordinamento giuridico in conformità dell’art. 10 comma 1 Cost.

Merita tra tutte di essere citata la Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, sottoscritta a Roma il 4 novembre 1950. Speciale rilievo deve poi essere attribuito alla Corte Europea dei diritti dell’uomo, prevista nell’articolo II della stessa convenzione internazionale, il cui contributo ha certamente impresso una sostanziale accelerazione al processo di armonizzazione del diritto penale europeo e internazionale. Il dibattito incentrato sulla necessaria internazionalizzazione del diritto penale si è andato sviluppando, tra l’altro, anche a causa di quel particolare rapporto che intercorre tra il processo di globalizzazione e la criminalità organizzata transnazionale.

Il concetto di globalizzazione del crimine chiarisce, in maniera piuttosto evidente, la misura in cui la criminalità organizzata transnazionale si avvale di tutte le opportunità offerte dalla globalizzazione dei mercati e dalle nuove tecnologie di comunicazione e di gestione dell’informazione. Attività come, ad esempio, il riciclaggio e il reimpiego dei proventi illeciti, oggi si avvantaggiano delle risorse tecnologiche che la società ed i mercati moderni offrono. Il processo di globalizzazione ha infatti progressivamente allargato le opportunità non solo per le imprese legali ma anche per la criminalità transnazionale, creando nuovi affari e nuovi mercati non solo nel mondo legale, ma anche in quello criminale, fornendo mezzi sempre più sofisticati e potenti con i quali le organizzazioni criminali riescono ad essere molto più efficienti.

Inevitabilmente tali organizzazioni assumono una dimensione sempre più transnazionale e de-localizzata, richiamando in tal modo le singole autorità nazionali a sforzi investigativi crescenti, proprio a causa del livello di ramificazione extraterritoriale dell’associazione indagata, con lo scontato effetto di accrescere le difficoltà in sede di accertamento della componente oggettiva di un reato ormai topograficamente distribuito su più livelli. È chiaro che l’approccio preventivo/repressivo non può prescindere dal rafforzamento degli strumenti e dei modi di cooperazione giudiziaria e di polizia fra gli Stati.

La nozione di reato transnazionale, ossia «non solo quel reato commesso in più Stati ma anche quello commesso in un unico Stato, i cui effetti possono estendersi nel territorio di stati differenti», ha trovato la sua più completa esplicazione nella Convenzione ONU sulla criminalità organizzata transnazionale del 2000, la quale ha coltivato l’ambizioso proposito di fornire una base minima comune per la cooperazione giudiziaria, anche nei rapporti con quei Paesi che fino al quel momento si erano in qualche modo sottratti ad ogni collaborazione ai fini della repressione delle più gravi forme di criminalità. L’obiettivo principale della Convenzione è, dunque, quello di migliorare la cooperazione tra gli Stati nella lotta contro il crimine organizzato transnazionale.

A livello internazionale, con la Corte penale internazionale (ICC), la nascita di un sistema uniforme di diritto penale è destinata a divenire realtà. Anche se la ICC ha una competenza limitata alla sola repressione dei crimini internazionali, nel suo Statuto, per la prima volta, sono enunciati alcuni principi di parte generale. Delle potenzialità della Corte è consapevole la stessa Unione Europea, che ha cercato di incentivare la ratifica dello Statuto ed ha inserito i reati internazionali nella sfera di applicazione obbligatoria del nuovo mandato d’arresto europeo, del mandato di sequestro e delle decisioni quadro in materia di riconoscimento delle decisioni penali e degli ordini di confisca.

A livello regionale, invece, a partire dal Trattato di Amsterdam del 1997, l’Unione Europea ha progressivamente ampliato le sue competenze in materia penale, mettendo in atto un vero e proprio programma di politica criminale attraverso azioni comuni, decisioni quadro, convenzioni, prevedendo non solo una più stretta cooperazione giudiziaria e di polizia sul piano degli strumenti operativi e di indagine, ma anche un ravvicinamento delle norme penali degli Stati membri.

Occorre però osservare che quando l’Unione Europea, nella seconda metà degli anni Novanta del secolo scorso, ha preso posizione sulla crescente presenza di manifestazioni transnazionali delle organizzazioni criminali, la considerazione legale del fenomeno nei sistemi penali degli Stati membri risultava fortemente differenziata. Se da un lato, l’urgenza di adeguare l’azione europea di contrasto al carattere transnazionale del fenomeno si faceva sempre più stringente, dall’altro, la difficoltà di procedere ad un’effettiva armonizzazione dei sistemi penali rappresentava un freno costante. Rispetto alla situazione di partenza le cose sono comunque cambiate molto. I modelli di incriminazione europei e delle Nazioni Unite hanno infatti contribuito in maniera decisiva ad un progressivo avvicinamento delle legislazioni penali in materia e ad una crescente eliminazione delle reciproche differenze.

Nel 2011, il Parlamento Europeo – in un importante risoluzione sulla criminalità organizzata – ha espresso l’auspicio di adottare una rinnovata misura di armonizzazione in materia. Una conseguenza particolarmente rilevante è stata la creazione di una commissione ad hoc del Parlamento Europeo, ovvero la Commissione speciale sul crimine organizzato, la corruzione e il riciclaggio del denaro. Sul piano strettamente giuridico, la risoluzione valorizza poi lo strumento delle misure patrimoniali, richiedendo provvedimenti di considerevole portata tra cui il rafforzamento della cooperazione tra gli Stati in materia di confisca e sequestro e la predisposizione di una legislazione europea in relazione al riuso sociale dei beni confiscati. Altro punto fondamentale è l’orientamento espresso dalla risoluzione in ordine all’istituzione della Procura Europea, un organo previsto dall’art. 86 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea, e all’espansione delle sue competenze fino alla lotta alla criminalità organizzata transnazionale.

Ulteriore aspetto interessante è rappresentato dall’invito avanzato dal Parlamento Europeo alla Commissione circa la predisposizione, a livello europeo, di una fattispecie del tutto analoga all’art. 416 bis del nostro codice penale. In linea con tale proposta, nel 2012 è stata istituita la prima Commissione parlamentare antimafia europea allo scopo di elaborare un vero e proprio piano per il contrasto europeo alle mafie, alla corruzione e al riciclaggio di denaro.

Concludendo, nonostante la presenza di specifiche basi su cui avviare il processo di costituzione di un diritto penale europeo, processo che per certi versi può dirsi già avviato, permangono forti resistenze, da parte degli Stati nazionali, in merito al pieno riconoscimento della portata di una tale innovazione giuridica. Non si tratta affatto di abbandonare le categorie e i principi del diritto penale internazionale, quanto piuttosto di rileggerli ed adeguarli alla nuova dimensione sovranazionale, in cui esso è oggi ineluttabilmente chiamato ad operare.