Chi lotta davvero contro i paradisi fiscali?

Dopo lo scalpore degli ultimi giorni provocato dalla pubblicazione della più grande inchiesta della storia della finanza internazionale – Panama Papers – la quale svela l’esistenza di circa undici milioni e mezzo di file segreti su oltre 200 società offshore e l’attuale sfida lanciata al governo Renzi contro l’ingiustizia e la povertà presente in tali paradisi fiscali, è importante focalizzarsi su cosa sono i paradisi fiscali, dove sono e come agiscono, in cosa sono benefici ed in cosa non lo sono affatto, ma soprattutto per chi.

I paradisi fiscali sono degli Stati che si vendono al mondo offrendo bassi, se non inesistenti, livelli di imposte e che cercano di attrarre capitali esteri e flussi finanziari da altri paesi con la promessa di garantire un sistema bancario poco trasparente e la riservatezza totale sui controlli fiscali. Le società offshore – protagonista principale dei Panama Papers – create in un paradiso fiscale sono del tutto lecite, purché chi le crei le dichiari al fisco e ne paghi le dovute tasse nel paese effettivo. Tuttavia, tali offshore sono prettamente utilizzate al fine di riciclaggio di denaro sporco o di occultamento di utili e/o proprietà.

Ne è un esempio uno tra i tanti clienti di Mossack Fonseca – lo studio legale di Panama rivelatore delle frodi fiscali presenti nei Panama Papers -, Giuseppe Donaldo Nicosia, imprenditore della pubblicità televisiva, latitante dal 2014 accusato di truffa all’IVA, bancarotta fraudolenta ed altro. Nicosia, ex socio di Dell’Utri, l’ex senatore di Forza Italia in carcere per concorso esterno in associazione mafiosa, è risultato titolare di due offshore con sede a Panama, utilizzate come società schermo per riciclare denaro.

È chiaro a tutti che l’esistenza dei paradisi fiscali sia un’ottima ed alquanto sicura via di “fuga”. Ma per chi? Non di certo per i comuni mortali che non posseggono imprese multinazionali (già facilitate dall’elusione fiscale del transfer pricing – spostamento di utili tra le filiali verso i paesi con situazioni fiscali più convenienti), o che non hanno ingenti somme di capitale da investire nei paradisi fiscali. Già, perché mentre per gli ultra ricchi è possibile ricorrere all’evasione fiscale, a tutti gli altri resta fare i conti con l’austerità fiscale.

È facile capire come l’indignazione si sia velocemente sparsa tra le istituzioni, ed in Italia sono state lanciate ben due petizioni mettendo in risalto come i paradisi fiscali si traducano in ingiustizie e povertà. La ONG Oxfarm in Italia ha sfidato il governo Renzi, ribadendo l’importanza del mettere fine ai paradisi, in quanto gravano sull’economia dei paesi più poveri. Infatti, tramite i sistemi di elusione fiscale, le multinazionali presenti sui territori più poveri non permettono a questi ultimi di beneficiare delle risorse necessarie per garantire servizi essenziali come istruzione e sanità, e per attuare misure efficaci di lotta alla povertà.

La sfida non è facile. Sebbene il G20 abbia annunciato la fine dei paradisi fiscali prevista per il 2018, sono pochi quelli a crederci per davvero. Tanto pessimismo proviene dalle rivelazioni dei Panama Papers stessi.

Sono molti i governanti che sostengono un’azione al fine di ridurre questi paradisi, ma il fatto che nei Panama Papers ci siano anche nomi di importanti capi di governo e potenti – a partire da Putin, dalla famiglia di Cameron ai vertici comunisti cinesi – fa capire che anche loro sfruttano quello stesso sistema che a parole vorrebbero abbattere.

Monica Purpura