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Dal Maksimir alla condanna di Karadzic, l’infinita guerra dei Balcani

Dopo un lungo processo durato oltre sei anni, il 24 Marzo 2016 è arrivata la condanna  definitiva da parte del Tribunale penale Internazionale dell’Aja (Tpi) nei confronti di Radovan Karadzic, ex presidente della Repubblica Serba di Bosnia. Ritenuto colpevole di 10 capi d’accusa, Karadzic è stato condannato a 40 anni di reclusione per crimini contro l’umanità, crimini di guerra e per aver avuto un ruolo attivo nel genocidio dei musulmani bosniaci avvenuto tra il 1992 e il 1995.

È stato quindi giudicato come uno dei colpevoli del massacro di Srebrenica del 1995 – la strage più grave in Europa dalla fine della Seconda guerra mondiale – dell’assedio di Sarajevo, della persecuzione dei cittadini non serbi nel territorio bosniaco e di aver tenuto in ostaggio dei soldati dell’UNPROFOR, la forza di protezione delle Nazioni Unite.

La condanna di Radovan Karadzic è soltanto l’ultima di una serie infinita di condanne inflitte ai criminali della guerra dei Balcani. Un conflitto durato oltre cinque anni che ha visto fronteggiare tra di loro diversi gruppi etnici divisi da tradizione e religione. Facendo un passo indietro, è bene ricordare un avvenimento che per molti storici e studiosi può passare in secondo piano per quanto riguarda lo scoppio della guerra in sé, ma che sicuramente ha una valenza simbolica non indifferente. 

È il 13 maggio del 1990 e nella polveriera balcanica si affrontano la Dinamo Zagabria e la Stella Rossa di Belgrado, due squadre divise da un’acerrima rivalità sportiva, inasprita ancora di più dallo scenario storico e politico che sta cominciando a svilupparsi in quegli anni tra le due maggiori etnie che popolano i Balcani – Serbi e Croati. Se il contesto è quello che abbiamo appena descritto, non possiamo pensare che si tratti di una partita come tutte le altre. Infatti non sarà così.

Troppi i motivi per pensare che c’è molto di più di una semplice rivalità sportiva tra la maggiore squadra della Croazia e quella della Serbia. C’è l’orgoglio ed il senso di appartenenza di due popoli, quello Croato con a capo il nazionalista Franjo Tudman e quello Serbo del socialista Slobodan Milosevic. Una partita che in realtà non si è mai giocata ma che fa capire lo stato di tensione tangibile che si poteva respirare al Maksimir di Zagabria, la stessa tensione che nel giro di poco sarebbe sfociata in un vero e proprio conflitto tra i più accesi e sanguinosi di sempre.

L’evento sportivo passa nettamente in secondo piano, dato che chi era allo stadio per assistere alla partita era lì prima di tutto per affermare il proprio credo politico e per rappresentare il proprio popolo, in un clima che non aveva nulla a che vedere con quello di una partita di calcio. Le due tifoserie rispecchiano la divisione politica tra Serbi e Croati: da un lato vi sono i Bad Blue Boys (ultras della Dinamo), dall’altra i Delije della Stella Rossa. Gli spalti sembrano essersi trasformati in un campo di battaglia con due schieramenti pronti a fronteggiarsi alla prima occasione.

Tra i personaggi di spicco degli ultras della Stella Rossa non possiamo non citarne uno in particolare: Zeljko Raznatovic, noto come Arkan, il quale, una volta divenuto uno dei capi della tifoseria, reclutava tra gli stessi ultras Serbi alcuni volontari per formare un’unita paramilitare, la Guardia Volontaria Serba (a.k.a. le Tigri di Arkan) attiva lungo il confine Serbo-Croato.

Al Maksimir la tensione aumenta con il passare dei minuti di una partita fantasma, fino a quando sugli spalti accade il finimondo, con i tifosi ospiti che cominciano a devastare tutto ciò che gli capita a tiro, costringendo la polizia (in gran parte Serba) ad intervenire anche sul rettangolo di gioco per fermare l’invasione di campo dei tifosi di entrambe le fazioni. La reazione della polizia è violentissima. In questo clima di guerriglia generale c’è un giocatore che rimane in campo: è Zvonimir Boban, appena ventunenne ma già capitano della sua Dinamo Zagabria.

Ad un tratto un poliziotto getta a terra un tifoso della Dinamo e comincia a manganellarlo violentemente. Quest’evento suscita la reazione del giovane Boban, il quale interviene sferrando un calcio al poliziotto e costringendolo alla ritirata. L’ex capitano viene tratto in salvo dal linciaggio da alcuni supporter e dagli stessi dirigenti della Dinamo. Il caos che regnava al Maksimir si esaurì soltanto a notte fonda, dentro e all’esterno dello stadio, con una marea di arresti e feriti. Boban, che diventò un eroe per il popolo croato, rischiò l’arresto e venne sospeso per sei mesi, perdendo la possibilità di partecipare ai Mondiali del 1990 in Italia. 

Quello che accadrà nel giro di un anno lo sappiamo tutti, una guerra che ha visto milioni di persone perdere la vita, con deportazioni nei campi di concentramento e migliaia di sfollati, per quello che viene considerato tra i più sanguinosi e disumani conflitti della storia.

L’episodio del Maksimir di Zagabria non è menzionato ovviamente nei libri di storia come uno degli eventi che hanno portato alla guerra civile Jugoslava, ma come riporta una striscione dei Bad Blue Boys della Dinamo Zagabria orgogliosamente esposto all’interno del loro stadio, forse davvero “la guerra è iniziata al Maksimir”.

Di Fabrizio Valenti


 

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