Alla fine il Tap si farà

Di Maddalena Tomassini – Si sono battuti fino all’ultimo per non far costruire il Tap. Lo ha detto ieri il vicepremier Luigi di Maio parlando ad Accordi & Disaccordi, sul canale Nove di Discovery Italia. Cosa questo di preciso abbia a significare, è un po’ un mistero. In pratica, il senso è che la partita è chiusa: il gasdotto transadriatico si farà perché non c’è alternativa.

http_media.polisblog.it448egettyimages-965355170Lo ha dichiarato lo stesso Di Maio venerdì alla stampa estera: «Avremmo dovuto sacrificare altre riforme – reddito di cittadinanza, quota 100 e il fondo per i truffati alle banche – pagando la penale, ma questo non significa che per me sia un’opera strategica». Che tradotto significa: lo facciamo per voi, è colpa dei governi precedenti che hanno firmato accordi che non possiamo annullare.

Sembra un messaggio preregistrato. Ogni volta che si parla di una promessa elettorale mancata (una lista che continua ad allungarsi), il metodo è lo stesso: gettare la colpa sui governi precedenti (o i giornalisti). Intanto, secondo Marco Alverà, amministratore delegato di Snam, società azionista del Tap al 20%, l’opera che porterà il gas in Italia dall’Azerbaijan è a buon punto e sarà pronta entro il 2020.

948f33f5f97ad649d506cc6f8b9959a4Per i no-Tap – bacino di voti che il M5S si è letteralmente bruciato (o almeno sono state bruciate le bandiere e tessere elettorali) – la partita è tutto tranne che chiusa. Ieri si è tenuta una manifestazione a Meledugno, davanti al cantiere in cui si sta costruendo il terminale di ricezione, a 500 metri dal centro abitato. Si è trattato di circa 200 persone, fra cui il sindaco Marco Poti.

Il tema caldo è il terminale stesso, al centro dell’inchiesta della procura di Lecce per le ipotesi di truffa e di violazione della legge “Seveso” sulla protezione dai rischi industriali. Si attende la risposta dei periti entro il 18 novembre: se la Seveso va applicata è presumibile che la realizzazione dell’approdo venga bloccata per perfezionare l’iter autorizzativo.

Per i Cinque Stelle, e soprattutto per Luigi Di Maio, il terreno si fa sdruccioloso. Al sondaggio Index dell’8 novembre, il M5S era al 26,3% – 0,3% in meno rispetto la settimana precedente. Una riduzione minima, ma significativa, se si pensa che ora la Lega lo distanzia di più di sei punti percentuali. Eppure a marzo il M5S era il primo partito italiano, con il 32,7% contro il 17,4% dell’alleato nel Carroccio.

Quanto a battaglie, Di Maio dovrebbe stare attento a non perdere quella del consenso. Il leader dei Cinque Stelle rischia di trasformarsi in una “stella cadente”, destinata a bruciare fra due “uomini forti” dello scenario politico italiano: da un lato Salvini, macina di consensi, e dall’altro Alessandro Di Battista (uno dei più vocali no-Tap), riapparso sulla scena politica questi giorni, in attesa del suo ritorno ufficiale a Natale.


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