Al voto tra tensioni storiche, violenze e la perdurante latitanza della politica

Di Mario Montalbano – È stato un sabato ad alta, altissima tensione in tutta Italia. Milano, Roma e Palermo tra le città coinvolte dalle manifestazioni, dai cortei e dai sit-in organizzati dalle diverse forze di destra e sinistra. I fatti dei giorni e delle settimane precedenti hanno spinto il Ministero degli Interni a non badare a spese nel presidio delle città ed evitare, quindi, che i due diversi schieramenti potessero incrociarsi e fronteggiarsi, trasformando di fatto ogni via e strada in veri e propri campi di battaglia.

Obiettivo pressoché raggiunto, se si escludono i seppur brevi attimi di paura vissuti a Milano nel momento in cui la polizia ha deciso di bloccare il corteo organizzato dai centri sociali con direzione piazza Cairoli, dove era previsto il comizio del candidato alla Presidenza del Consiglio di Forza Nuova, Simone Di Stefano.

Nulla di grave a Palermo e Roma, dove comunque era evidente lo stato di tensione vissuto tra le strade presidiate dalle forze dell’ordine. E non poteva essere altrimenti visti i recentissimi precedenti delle settimane e giorni scorsi.

Dal folle attentato di Macerata compiuto agli inizi di febbraio dal neofascista Luca Traini, infatti, è stato solo un susseguirsi di eventi. Da Piacenza a Palermo, passando per Perugia e Castelfiorentino con scontri di piazza tra centri sociali e forze dell’ordine, atti intimidatori prontamente ricambiati, di assalti in strada e gesti riprovevoli come l’apposizione di svastiche su tombe di defunti caduti durante la Seconda guerra mondiale.

Tutti “fattacci” che hanno portato inevitabilmente alla memoria gli anni 70 e 80, a quegli anni definiti di piombo per la facilità con cui l’estremizzazione della dialettica tra destra e sinistra si tramutava in lotta armata a colpi di attentati, mietendo vittime, spesso e volentieri civili, senza alcun tipo di scrupolo.

Fortuna nostra, al netto di feriti e contusi specie tra le forze dell’ordine, non siamo ancora arrivati a contare il numero dei morti. Ma, in tutto questo, resta lo stato di tensione visibile nel Paese di fronte a un tema storicamente delicato, come quello dell’antifascismo, e che, a dire il vero un po’ a sorpresa, è piombato nella corsa di questa disastrata campagna elettorale nella sua accezione più violenta.

C’è da chiedersi il perché, e allora va da sé che la ragione primaria possa e debba essere individuata in quel vuoto politico generato dai partiti tradizionali, incapaci di affrontare con contezza determinati temi e problemi senza ricadere in banali slogan populistici. Dall’immigrazione all’economia, passando per l’integrazione europea e la disoccupazione giovanile.

Fatalità la violenza e le tensioni di piazza sono ripiombati sulla campagna elettorale proprio nel momento in cui il caso Embraco portava sul tavolo del dibattito politico la questione lavoro. Riportando il tutto a un mero stato di conflittualità tra chi è a favore del fascismo e chi ne è contrario.

Un’onda emotiva su cui ovviamente i partiti si sono confrontati, con la loro banalità, con la loro inadeguatezza. Tralasciando tutto il resto, ossia i contenuti programmatici utili a dare un’idea all’elettorato su come s’intende governare il Paese nei prossimi cinque anni. Fortuna che – o forse no – fra una settimana questa campagna elettorale sarà davvero finita.


1 commento

I commenti sono chiusi