Modelli di accoglienza in Italia: percorsi virtuosi di micro e macro integrazione

Di Valentina Pizzuto Antinoro – La tentata strage di Macerata dello scorso 3 febbraio, in cui 6 persone sono state ferite, colpevoli di non avere la pelle bianca, mette sotto i riflettori il consolidamento di idee xenofobe e razziste nel territorio italiano.

L’Italia, oltre ad essere una terra di approdo per migliaia di stranieri provenienti da Africa, Europa orientale e Asia, sta maturando, nonostante diverse difficoltà, un modello di accoglienza e integrazione efficace, sebbene sia ostacolato dall’incertezza delle politiche migratorie e dall’inefficienza della burocrazia italiana.

Negli ultimi anni, tuttavia, è stato possibile riscontrare buoni risultati in relazione al livello di integrazione tra popolazione autoctona e nuovi arrivati, dimostrando in modo oggettivo l’inconsistenza di teorie xenofobe, alimentate peraltro da una propaganda violenta e strumentale, secondo cui gli stranieri sono un pericolo per la nostra incolumità.

Alcuni casi di accoglienza ben gestita descritti in programmi televisivi, come Piazza Pulita e Propaganda Live (La7), riguardano piccoli paesi caratterizzati da un consistente crollo demografico dovuto principalmente all’assenza di investimenti nell’occupazione con la conseguente emigrazione degli abitanti verso le grandi città italiane o all’estero. Tra di essi vi sono Pettinengo (Piemonte) e Preturo Irpino (Campania) che hanno attuato un’accoglienza virtuosa e possono essere considerati modelli da seguire.

Pettinengo è un paesino della provincia di Biella di circa 1500 abitanti che dal 2014 accoglie richiedenti asilo nel territorio piemontese. Si tratta di un piccolo paese di provincia come tanti altri, caratterizzato dalla crisi dell’artigianato e la mancanza di occupazione.

A differenza di altri paesini, Pettinengo ha deciso di investire nell’accoglienza aprendo un laboratorio/scuola, dove i residenti tengono corsi di formazione e di produzione artigianale per i richiedenti asilo, con l’obiettivo di creare nuovi posti di lavoro per i cittadini locali e nuove opportunità per gli ospiti del paesino. Tutto ciò è stato realizzato grazie alla sinergia tra il Comune, le associazioni e le persone accolte che, alla fine del percorso di formazione e di inserimento, continuano a collaborare con l’Amministrazione e con le imprese locali.

A Preturo Irpino, paese campano di 330 residenti, da circa 2 anni il Comune ha deciso di avviare un progetto SPRAR, insieme alla Caritas di Benevento, per 20 richiedenti asilo: sei nuclei monoparentali e 14 posti per famiglie. Questo progetto ha creato posti di lavoro per i preturesi, che si sono specializzati in professioni che erano assenti nel territorio campano, come i mediatori culturali o gli educatori di accoglienza, ma allo stesso tempo sono stati riproposti lavori tradizionali, come la coltivazione delle terre che, a causa della crisi generale nel territorio, sono rimaste incolte per molto tempo.

Queste terre incolte sono state affidate in comodato d’uso alla cooperativa creata dagli stessi preturesi con l’obiettivo di avviare la coltivazione di frutta e ortaggi per produrre così vino e conserve. La cooperativa si sta specializzando anche in tutti quei servizi utili all’Amministrazione locale, in modo che il comune non sia costretto a rivolgersi a ditte esterne per attività di normale amministrazione del territorio.

I due piccoli paesi hanno visto in poco tempo un cambiamento quasi radicale nel loro territorio, riportando in vita un senso di comunità che si era perso a causa delle difficoltà economiche e del successivo spopolamento. La creazione di opportunità lavorative porta i residenti a non migrare e allo stesso tempo crea uno spazio comune e condiviso con coloro che sono dovuti fuggire dalla propria terra alla ricerca di una vita migliore.

Viene spontaneo pensare che un fattore predominante per la riuscita del processo di accoglienza e integrazione sia la dimensione ridotta della comunità che si impegna in questa causa. Questa facile associazione viene tuttavia smentita da esempi di integrazione in grandi città, come Brescia e Palermo, che sono riuscite ad attuare modelli di accoglienza presi in considerazione anche a livello europeo.

Brescia è stata definita, dalla nota testata francese Le Monde, città multiculturale che non cede alla xenofobia. Questo processo di integrazione è iniziato intorno al 1990, quando gli stranieri erano poco più di 2 mila. Oggi su 196 mila abitanti, 36.767 persone sono di origine straniera, cioè il 18,7%.

Le difficoltà naturalmente non sono mancate, soprattutto negli anni Novanta, ma l’attuazione di alcune politiche mirate per evitare lo sviluppo di ghetti ha aiutato il processo di integrazione ottenendo ottimi risultati nel lungo termine osservabili facilmente nelle seconde e nelle terze generazioni. Un esempio è il multiculturalismo rappresentato dal liceo Gambara, che raccoglie studenti di Brescia e provincia, nel quale si osserva la pacifica convivenza di diverse culture e colori in una comunità che si sta formando. Anche a Brescia si sono verificati fenomeni di razzismo, ma grazie a questo elevato livello di integrazione risulta difficile scardinare questo senso di comunità ormai consolidato.

Palermo ufficialmente consta 673 mila abitanti, di cui 26 mila stranieri. La percentuale ufficiale di stranieri rispetto a Brescia è decisamente più bassa, ma il multiculturalismo presente nel capoluogo siciliano è storicamente una sua caratteristica essenziale. Soprattutto negli ultimi anni, a Palermo è iniziata una vera e propria gara all’accoglienza e all’integrazione che ha portato addirittura al consolidamento di istituzioni volte a dare voce a chi, pur avendo diritti civili, non gode di diritti politici.

Nel 2013 nasce la Consulta delle Culture, assemblea che ha la possibilità di redigere pareri non vincolanti su politiche comunali destinanti all’Amministrazione, e nel 2015 viene firmato da rappresentanti delle istituzioni e di associazioni la Carta di Palermo, documento-guida sull’integrazione e la cittadinanza.

Attori fondamentali nel processo di accoglienza e integrazione sono le associazioni radicate nel territorio, divenute ormai un punto di riferimento per stranieri e cittadini a livello locale e osservate con interesse a livello nazionale ed europeo. Un esempio è il Torneo Mediterraneo Antirazzista, nato nel capoluogo siciliano nel 2008 in sinergia con molte associazioni locali ed esportato in altre città italiane con l’obiettivo di creare un senso di comunità attraverso lo sport.

Una particolare nota di merito va data al Moltivolti, ristorante e coworking con sede a Ballarò, che in tre anni di attività è riuscito a creare una rete imprenditoriale e sociale in un quartiere dove convivono 14 etnie e in cui si parlano più di 25 lingue diverse. L’esperienza del Moltivolti ha suscitato interesse a livello europeo e nel 2017 i reali olandesi, venuti a Palermo per instaurare una collaborazione al fine di combattere la tratta di esseri umani, hanno fatto visita al coworking per conoscere una realtà ormai considerata modello di accoglienza e integrazione.

I modelli di accoglienza appena descritti, mostrano caratteristiche diverse: i piccoli paesi iniziano il processo di integrazione spinti da motivi socio-economici, creando un processo di accoglienza indotto, processo che invece le grandi città sono “costrette” ad attuare a causa della dimensione della popolazione e del numero di stranieri da integrare. Punto in comune tra i diversi modelli di accoglienza è il ruolo dell’Amministrazione locale che attua politiche di inclusione che, sommate al lavoro giornaliero delle associazioni di altre istituzioni radicate nel territorio riescono a garantire l’inserimento in ambito lavorativo e sociale della persona accolta.

I pregiudizi sull’accoglienza rinforzati dai nazionalismi offuscano la mente di una popolazione ormai incapace di vedere l’altra faccia della medaglia, cioè che non è solo auspicabile ma anche possibile l’accoglienza senza finalità di lucro e la convivenza tra culture diverse, fattori che potrebbero solo arricchire la nostra società.

Osservando le storie di accoglienza e integrazione delle grandi città in cui i flussi migratori delle sono sempre stati consistenti, il processo di integrazione ha avuto difficoltà iniziali nel breve periodo. Tuttavia è ormai riscontrabile che le seconde e le terze generazioni mostrano un livello di integrazione molto alto, simile a quello che si riscontra in Paesi che sono stati mete di migranti dal secondo dopoguerra, come Francia e Germania.

Dunque è possibile fare accoglienza in modo virtuoso in Italia, tenendo innanzitutto conto del contesto socio-economico e della dimensione della popolazione, così da creare modelli ad hoc da attuare nel caso specifico, facendo sì che l’Italia possa essere un laboratorio di accoglienza da cui l’Europa può prendere spunto.